Camera oscura e senso comune

CONVINZIONE DI SENSO COMUNE SULLE IMMAGINI DELLA CAMERA OSCURA:

 LA FORMA E LA GRANDEZZA DELL’IMMAGINE DIPENDONO DA QUELLE DEL FORO

Una convinzione molto diffusa e radicata emerge quando si chiede di prevedere che cosa succederà all’immagine quando si coprirà metà del foro.

Una risposta molto frequente è che sparisce metà dell’immagine; un’altra è che l’immagine si rimpiccolisce; soltanto una minoranza pensa che l’immagine resterà la stessa, salvo una piccola diminuzione di luminosità.

Quando si procede a tappare metà del foro con un cartoncino, si verifica, in effetti, che le dimensioni dell’immagine non cambiano e che la luminosità diminuisce (secondo la previsione della minoranza); c’è tuttavia un’altra variazione (questa più inaspettata) ed è che l’immagine diventa più nitida.

Insomma: l‘immagine diventa meno luminosa, ma anche più nitida!

Questo secondo aspetto potrebbe apparire contraddittorio, perché l’esperienza comune ci mostra che quando c’è poca luce gli oggetti li vediamo meno distintamente: la nitidezza sembra andare di pari passo con l’illuminamento.

Ma non è così. Sarà sufficiente guardare con attenzione sullo schermo per convincersene.

POSSIBILE ORIGINE DELLE CONVINZIONI DI SENSO COMUNE

1) I LIMITI DELL’OCCHIO

Nell’attesa di poterlo verificare direttamente, vale la pena di riflettere sulle possibili origini di queste convinzioni di senso comune.

Un primo punto sul quale riflettere riguarda i limiti di percezione che condizionano il funzionamento del nostro occhio. Sono due le condizioni necessarie perché l’occhio possa vedere distintamente: da un lato l’occhio ha bisogno di una soglia minima di illuminamento, dall’altro ha bisogno che l’immagine sia sufficientemente nitida. Si tratta, però, di due condizioni indipendenti tra loro. Chi ha un minimo di pratica fotografica sa che una buona immagine fotografica richiede una doppia regolazione: la messa a fuoco (nitidezza dell’immagine) e il tempo di esposizione ( quantità di luce assorbita); se si sbaglia la messa a fuoco, non si può sperare di risolvere il problema con una maggiore esposizione; allo stesso modo, se una diapositiva è sfuocata, non possiamo migliorarne la nitidezza aumentando la luminosità del proiettore.

A differenza dell’occhio, che vede in base all’illuminamento presente momento per momento, la macchina fotografica è in grado di “accumulare” nel tempo  la luce che riceve; se l’illuminamento è molto debole, sarà sufficiente usare un tempo di esposizione più lungo: la foto verrà nitida ugualmente; a differenza dell’occhio, la macchina fotografica ci mostra chiaramente che l’immagine è nitida anche quando l’illuminamento è minimo. Non potendo operare in questo modo con i nostri occhi non sono in grado di apprezzare che la nitidezza rimane inalterata quando l’illuminamento diventa troppo debole.

 2) IL MODELLO “FINESTRA”

La  diffusione e la tenacia delle convinzioni di senso comune indicano che esse devono essere ben radicate nell’esperienza quotidiana del vedere.

Una condizione che meriterebbe di essere considerata con particolare attenzione riguarda il fatto che il nostro guardare è sempre un guardare “riquadrato”da porte, finestre, edifici, profili del terreno, orizzonti. Queste aperture o delimitazioni operano, infatti, un  “ritaglio” delle cose che si possono vedere : se chiudo un’anta delle persiane vedo metà delle cose che vedevo prima. Una riduzione analoga si ha quando ci allontaniamo dalla finestra. E’ questa l’altra esperienza comune che potrebbe giocare un ruolo importante nella formazione delle idee in questione. L’inquadratura ( l’angolo visuale ) non dipende, infatti,  solo dalle dimensioni oggettive della finestra, ma anche dalla distanza dell’osservatore; quando esso si allontana non solo si riduce la porzione di panorama visibile, ma anche la finestra apparirà più piccola.

E’ probabile che il senso comune applichi questo stesso schema alle immagini del panorama che appare sullo schermo posto dietro a quella piccolissima finestra che è il foro stenopeico. L’esperienza ci dimostra, invece, che guardare direttamente un panorama attraverso una finestra ed osservarlo (capovolto) sullo schermo posto dietro ad un foro, non sono esattamente la stessa cosa.

LA METAFORA DELLA “FINESTRA SUL MONDO”

Siamo talmente abituati a guardare attraverso le finestre delle nostre abitazioni, da non sospettare minimamente che questo semplice gesto quotidiano possa condizionare in qualche modo il nostro stesso modo di guardare le cose.

Abbiamo visto che quando si chiede che cosa cambia nell’immagine della camera oscura, quando si copre  metà del foro, la risposta più frequente è che “ Sparisce metà dell’immagine!”. Questo sembra indicare una tendenza ad estendere alle immagini interne alla camera la stessa modalità del “ritaglio” che la finestra opera sul panorama esterno.

L’esperienza ci ha dimostrato, invece, che guardare direttamente un panorama attraverso una finestra ed osservarlo (capovolto) sullo schermo posto dietro ad un foro, sono cose del tutto diverse.

Quello che vorremmo aggiungere ora, è che a dispetto della sua immaterialità, quel “buco”, quel vuoto prodotto sul pieno della parete, esercita una profonda influenza sul nostro stesso modo di guardare, vedere e pensare il mondo esterno e quello interiore.

Fu Leon Battista Alberti nel suo “ De Pictura “ ad esplicitare la metafora del quadro come “ finestra sul mondo ”:

“[…] In prima nel dipingere la superficie faccio un quadrato grande, quanto mi piace d’anguli dritti: il quale mi serve per una finestra aperta, onde si possa vedere l’historia […]”

Si tratta di una metafora che peserà moltissimo nella cultura visuale dell’occidente, perché pone l’artista nella veste di colui che, grazie alle leggi geometriche della prospettiva, era in grado di riprodurre la natura, magari inventandola, ma facendola somigliante a come sarebbe stata.

LO SGUARDO “INQUADRATO”

MAGRITTE la_condizione_umanaIl nostro è sempre un guardare “ritagliato” dalla forma della finestra, solitamente rettangolare, nonostante siano frequenti finestre circolari, ovali, bifore e trifore. L’etimo della parola finestra è abbastanza incerto, ma io proverei ad azzardare che possa derivare dal latino finis (plurale fines ) cioè, fine, limite, termine, confine.

Si può ipotizzare anche che il termine “inquadratura” usato per indicare l’operazione fotografica o pittorica di delimitare l’immagine da riprendere, possa derivare dalla prevalenza del formato rettangolare usato per le finestre, per le tele dei pittori ( i “quadri”, appunto) e per le fotografie.

Non è escluso, quindi, che anche quando usciamo all’aria aperta, continui ad operare inconsapevolmente questo schema di delimitazione dell’immagine, anche perché la vista di un oggetto è solitamente delimitata dagli oggetti che gli sono davanti ( muri, pareti, ostacoli vari ).

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