Oltre l’usuale distinzione tra reale e virtuale

SUPERAMENTO DELLA DEFINIZIONE DI IMMAGINE REALE E VIRTUALE 

Ci sembra a questo punto di poter affermare che tutte le caratteristiche dell’immagine fotografica, delineate dai maggiori teorici della fotografia , rientrino perfettamente nei criteri generali introdotti da P. Lévy per la categoria del virtuale.

Crediamo che l’inserimento di uno schermo foto-sensibile nella catena visiva non costituisca affatto una maggiore adesione alla “ realtà ” dell’oggetto fotografato, ma produca, al contrario, uno spostamento ad un livello superiore di virtualità.

In quel momento l’immagine si manifesta agli osservatori presenti uscendo, potremmo dire, da uno stato di “ latenza” ( come l’immagine latente presente sulla pellicola impressionata, che diventa  visibile solo dopo il processo di sviluppo o, in termini più attuali, come l’immagine latente registrata su una memoria magnetica digitale, che diventa visibile attraverso i pixel dello schermo).

Se consideriamo virtuale l’immagine percepita dall’occhio-cervello nella visione diretta, a maggior ragione dovremo considerare come virtuale l’immagine fotografica, che segna un allontanamento ancor più radicale  dalla visione naturale.

Dobbiamo ammettere che la virtualità è connaturata con il concetto stesso di immagine e che tutte le immagini sono, pertanto, virtuali.

L’immagine che osserviamo su uno schermo o in fotografia non è più reale di quella che osserviamo a occhio nudo. Mantenere in piedi la vecchia distinzione tra immagine “reale” e immagine “virtuale” significa perpetuare l’equivoco della fotografia come “specchio fedele della realtà”.

Ciò che serve è , invece, una distinzione tra gradi differenti di virtualità: quello prodotto dalla visione diretta e quello prodotto dalla visione “mediata” attraverso uno schermo o una  fotografia.

Moholy-Nagy introduce una interessante distinzione tra “pittura di luce” e “pittura di pigmento”, che può tornare utile ai nostri fini.

I pittori del sei e settecento che si sono avvalsi della camera oscura ( o della camera chiara) per dipingere i loro quadri hanno imparato a trasformare la pittura di luce in pittura di pigmento, “ricalcando” con i loro colori l’immagine luminosa che appariva sullo schermo.

I moderni fotografi  hanno lasciato che fosse direttamente la luce a fissare l’immagine sui “pigmenti” dell’emulsione fotografica.

Non è azzardato pensare che Keplero avrebbe usato il termine foto-grafia al posto del termine pictura, se solo avesse potuto immaginare gli sviluppi che si sarebbero verificati un paio di secoli più tardi.

Se volessimo, infine, tener conto della funzione mediatrice che lo schermo e la lastra fotografica svolgono, rendendo visibile e fruibile l’immagine latente per una pluralità di soggetti, potremmo decidere di chiamarla immagine inter-soggettiva (oppure oggettiva?) riservando la definizione di immagine soggettiva all’immagine psichica ( intenzionale ), che ogni soggetto percepisce singolarmente.

IN CONCLUSIONE:  tutte le immagini sono di natura virtuale; ciò che distingue l’immagine (virtuale) raccolta su uno schermo da quella individuale percepita dal singolo soggetto non è la sua “realtà”, ma il suo carattere inter-soggettivo e mediatico.

 

VISIONE “DIRETTA” E VISIONE “MEDIATA” 

Ciò che, in sostanza, ci si è venuto progressivamente chiarendo è che esiste una profonda differenza tra la visione diretta che abbiamo degli oggetti e la visione mediata da uno strumento ottico ( schermo, camera oscura, specchio, lente, lastra fotografica, … ).

La visione diretta, in-mediata e soggettiva,  crea la erronea convinzione di vedere le cose così come esse sono nella realtà.

La visione mediata ci permette di scoprire che si tratta, invece, di una lunga catena visiva ai cui estremi sono, da un lato le cose reali che sperimentiamo attraverso un commercio “sensibile” quotidiano, e dall’altro le immagini virtuali soggettive che si formano nella mente dell’osservatore. In mezzo ci sono le immagini ( virtuali ) intermedie e inter-soggettive ( ombre, immagini della camera oscura, immagini speculari, immagini fotografiche ) che rappresentano tappe di un progressivo processo di virtualizzazione.

Proviamo a riassumere i passaggi essenziali di questo cammino.

Di fronte ad un paesaggio, una architettura, un’opera d’arte o una persona, ogni osservatore occupa un particolare punto di vista ( vicino/lontano, centrale/laterale, alto/basso, …); ci troviamo, pertanto, di fronte a percezioni che hanno un carattere strettamente soggettivo. Ogni osservatore ricava immagini diverse degli stessi oggetti; allo stesso modo ricaverebbero immagini diverse osservatori che si succedessero nello stesso punto di osservazione nel corso della giornata. L’immagine è dunque legata al luogo dell’osservatore e al tempo dell’osservazione .

Siamo ancora strettamente legati all’hic et nunc, soggiogati dal flusso continuo delle immagini e dal movimento degli oggetti, incapaci di fissare l’immagine di un determinato momento o di inseguire gli oggetti che escono dalla scena. Sono immagini virtuali, ma ad un primo livello , il livello più basso e subalterno.

L’emancipazione da questo stato, il salto di livello inizia probabilmente nella sfera della memoria dove il soggetto riesce a fissare un particolare momento ed un particolare aspetto di ciò che ha visto.  E’ solo una labile traccia, mutevole e incerta, ma è già qualcosa.

Il bisogno di un ricordo più stabile e preciso,  e, soprattutto, il bisogno di comunicare agli altri ciò che ha visto ( quella pianta, quell’animale, quella persona) spinge il soggetto a cercare di proiettare il suo ricordo fuori di sé, fissandolo su un supporto materiale, affinché l’oggetto possa essere “visto” anche da chi non era presente al momento dell’osservazione. Dapprima pochi segni grafici, poi pitture e sculture sempre più somiglianti ( basti pensare ai dipinti delle grotte preistoriche). E’ il sogno di riprodurre la natura, che per tanti secoli accompagnerà gli artisti, fino a quando la fotografia non risolverà il problema in modo più rapido e preciso. La camera oscura rappresenta il passo propedeutico per la fotografia: la stessa immagine che si forma sullo schermo  può essere contemporaneamente osservata da più soggetti, diventa “inter-soggettiva”, un punto di vista particolare diventa collettivo. Ma è ancora soggetta alle variazioni del tempo e del movimento. Quando si riuscirà  a fissarla definitivamente sullo schermo avremo finalmente una immagine istantanea svincolata dallo spazio e dal tempo, trasportabile, riproducibile, che segnerà un livello più alto di autonomia e quindi di virtualità. Questa è la natura dell’immagine  che appare sullo schermo e che può essere fotografata. Perché chiamarla “ reale ”, quando è chiaro che essa ha ormai ben poco a che fare con l’oggetto reale che ha emesso soltanto una caotica radiazione luminosa?

Quella immagine è una nostra produzione resa ancor più sofisticata dall’uso di tecnologie e codici sempre più evoluti. Se per “ reale ” si intende “ molto somigliante ”, “ vero-simile”, “ realistica ”, bisognerà anche chiedersi a che cosa somigli, e dovremo rispondere che somiglia non all’oggetto reale, ma alla visione naturale che abbiamo quando guardiamo direttamente quell’oggetto.

DUE AUTOREVOLI CONFERME: Enrico Bellone e Carlo rovelli

I limiti e le ambiguità che abbiamo individuato nella distinzione corrente di immagine reale e virtuale sono probabilmente dovute al permanere della convinzione di senso comune secondo la quale una delle due immagini (quella reale) sarebbe in qualche modo più oggettiva e rispondente alla “realtà così com’è“, mentre l’altra (la virtuale) sarebbe una creazione soggettiva dell’osservatore.

Due pubblicazioni recenti testimoniano quanto questa convinzione sia ancora diffusa e radicata nel  senso comune.

Qualcosa, là fuori – Come il cervello crea la realtà, Enrico Bellone, Codice Edizioni, Torino, 2011

La realtà non è come appare, Carlo Rovelli, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014

E. BELLONE                 C. ROVELLI

Nel suo bellissimo libro  Enrico Bellone dimostra in maniera ben più chiara e  approfondita di quanto abbiamo potuto fare in queste pagine,  la natura squisitamente mentale ( cioè virtuale ) di tutto ciò che viene percepito attraverso i sensi ed elaborato dal cervello, creando quel complesso di oggetti che noi chiamiamo “realtà”. Ci ripromettiamo di fornire a parte una ampia sintesi delle argomentazioni sviluppate nel testo.

Altrettanto importante è il testo di Carlo Rovelli che ha ricevuto proprio in questi giorni il Premio Letterario Merck 2014 per la diffusione della cultura scientifica.

Ci sembrano due autorevoli conferme all’impostazione che abbiamo cercato di sviluppare in queste pagine.

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